Arcigay Queer Vda André Zanotto

Une vie, une voix, une trace

André Zanotto

A trent’anni dalla sua scomparsa e a quarant’anni dallo storico coming out,  il Comitato territoriale Arcigay per la Valle d’Aosta ha scelto di intitolarsi ad André Zanotto, storica, giornalista e pioniera della visibilità trans* in Italia, diventando Arcigay Queer Vda André Zanotto.

Con questo gesto, l’associazione celebra una figura che ha saputo tenere insieme cultura, coraggio e libertà, trasformando la propria vita in un esempio di autenticità e di impegno civile.

L’eredità di André Zanotto va oltre la sua produzione storica e giornalistica. La sua vita è testimonianza di autonomia personale e culturale, di libertà e di coerenza.
Con il suo gesto del 1985, André trasformò la propria vicenda in una riflessione collettiva sulla dignità delle differenze, anticipando temi che oggi consideriamo centrali nel dibattito pubblico.

Trent’anni dopo la sua scomparsa, il suo nome continua a ricordarci che la libertà e il rispetto non sono conquiste acquisite una volta per tutte, ma responsabilità da rinnovare ogni giorno.

Il gesto che cambiò la storia

Quando, nel 1985, André Zanotto prese la penna per parlare alle sue lettrici e ai suoi lettori, forse non immaginava che quel gesto di consapevolezza e coraggio avrebbe scritto una pagina di storia della comunità queer in Valle d’Aosta.

Da soli tre anni l’Italia si era dotata della Legge 164/1982, allora considerata una delle più avanzate in Europa in materia di riconoscimento giuridico del genere. In questo clima di cambiamento, Zanotto pubblicò sulle pagine de Il Monitore valdostano un articolo destinato a lasciare un segno: Minoranze di popoli e di singole persone.

Con quello scritto, decise di fare coming out pubblicamente come donna trans, in modo lucido e orgoglioso. Come dichiarò in un’intervista, scelse di farlo perché stava per diventare nonna e voleva che la nipote la conoscesse per quella che era davvero.

Minoranze di popoli, minoranze di persone

Nel suo articolo, Zanotto tracciò un parallelismo rivoluzionario tra le minoranze collettive, come quella linguistica e culturale valdostana, e le minoranze individuali, come quella di genere. Con la sua consueta ironia e fermezza, scrisse:

Condizione scomoda quella di una minoranza. Guardata con sospetto, considerata un’anomalia, spesso oggetto di disprezzo, di ostilità quando non di aperta persecuzione. […] Dopo averci pensato a lungo, chi scrive ha infine deciso che farebbe torto alla franchezza che ha sempre avuto, anche brutalmente a volte, nei riguardi del prossimo, se non ne accennasse, per una volta, pubblicamente. Si tratta di questo: chi scrive ha da tempo dubbi sulla propria identità di genere e […] ha assunto aspetti esteriori conformi alla propria condizione psicologica minoritaria.

"Minoranze di popoli e di singole persone": l'articolo sul Monitore valdostano, con il quale André Zanotto fece coming out come donna trans.
Copertina de "L’Histoire de la Vallée d’Aoste", il libro che ancora oggi è adottato come testo per i concorsi pubblici regionali

Con queste parole, André Zanotto non solo rivendicava la propria identità, ma la intrecciava con la storia della Valle d’Aosta, dei suoi popoli e delle sue autonomie. Era una visione politica e culturale in anticipo sui tempi, capace di trasformare un atto personale in un messaggio universale.

Una vita di studio, di lavoro e di resilienza

André Zanotto nacque nel 1933 in Svizzera, da padre valdostano emigrato e madre svizzera. Dopo pochi anni la famiglia tornò in Valle d’Aosta, dove André visse un’infanzia segnata da lutti e difficoltà: il padre, operaio alla Cogne, morì prematuramente; la madre, francofona, subì discriminazioni nell’Italia fascista e, in seguito, fu ricoverata in manicomio.

André fu accolta da parenti paterni e dimostrò fin da giovane una straordinaria tenacia. Concluse le scuole medie da privatista, si formò come tipografa a Torino e iniziò a lavorare ad Aosta, dove si appassionò alla storia valdostana grazie a Monsignor Joseph-Marie Frutaz. Sposò una giovane emigrata da Modena, con cui ebbe due figli.

Nel 1956, a soli vent’anni, vinse il Premio Saint-Vincent per il giornalismo, e negli anni successivi pubblicò opere fondamentali come L’Histoire de la Vallée d’Aoste e l’edizione critica dei testi di Jean-Baptiste De Tillier.

Rimasta vedova nel 1969, lavorò per la Regione autonoma Valle d’Aosta e collaborò con varie testate, firmandosi spesso Gentiane, dal nome del fiore di montagna simbolo di forza e resistenza. Nel 1986 pubblicò Le particularisme valdôtain. Aperçu historique, un testo che univa la ricerca storica alla riflessione sull’autonomia come spazio di libertà.

Morì prematuramente nel 1995 a causa di un infarto. I figli ne rispettarono la volontà e l’identità, organizzando un funerale cattolico come donna. Sulla sua tomba, al cimitero di Aosta, è visibile una sua fotografia femminile.

Minoranze di popoli e di singole persone
Le vicende dell’annessionismo – Francia e Italia – Il coraggio di dimostrare che l’abito non fa il monaco

Venerdì 13 settembre 1985
di André Zanotto

 Si riparla di tanto in tanto delle vicende dell’annessionismo e viene fatto di domandarsi: cosa sarebbe accaduto se la Valle d’Aosta fosse diventata francese?

Federico Chabod, per l’uso dei secessionisti in generale e di Ernesto Page in particolare, con un discorso volutamente terra a terra, elencò in un suo memoriale tutta una serie di motivi pratici che lo facevano indurre al più nero pessimismo.

La relazione della famosa missione Fassò, da parte sua, avvertì che in caso di annessione alla Francia sarebbe subito sorto un irredentismo da parte della popolazione di lingua italiana residente in Valle.

Già una ventina di anni fa, in uno scambio privato di opinioni avuto con il massimo esponente dei separatisti del Jura, Roland Béguelin, ed un uomo politico valdostano, ora assente, che con indubbio coraggio proclamava di essere ancora di sentimenti annessionistici, ebbi ad obiettare che, se fosse diventata francese, la Valle d’Aosta… non sarebbe più stata una minoranza.

Non solo il centralismo della Grande Nation l’avrebbe fagocitata, ma come si sarebbero potuti leggere ancora i contorni della personalità collettiva del popolo valdostano? Forse, l’unico mezzo sarebbe stato quello di delinearne i tratti assumendo come capisaldi gli italofoni!

Sicuramente, la condizione di minoranza ha quale presupposto per la sua esistenza quella di trovarsi attorniata, circondata o, purtroppo, soffocata da una forza più grande: la Valle d’Aosta è minoranza per il fatto di costituire un’entità etnico-linguistica entro i confini della più grande comunità italiana.

Fosse diventata un dipartimento francese, con il cavolo che ci distingueremmo ancora dagli altri sudditi di Mitterrand.

Tra l’altro, il centralismo francese fa sul serio, non come quello della Penisola che, come tante altre cose, è pur sempre… all’italiana.

Condizione scomoda quella di una minoranza.

Guardata con sospetto, considerata un’anomalia, spesso oggetto di disprezzo, di ostilità quando non di aperta persecuzione.

Gli esempi, lontani e recenti, sono infiniti.

Tutti li hanno chiaramente in mente, anche se sarebbe producente che ognuno di noi si ricordasse non solo di quelli che sono più vicini al proprio colore politico preferito, ma anche dei diritti degli altri.

A volte, il “gioco” avviene a parti invertite, ed è allora una minoranza a perseguitare la maggioranza: è il caso, in questi giorni ancora dolorosissimo, dell’apartheid imposto alle popolazioni indigene del Sud Africa.

Quando è un popolo ben delimitato storicamente, etnicamente, linguisticamente o geograficamente a costituire una minoranza, esso lotta per emanciparsi, per conquistare la propria indipendenza, per affermare la propria nazionalità.

E le persone che appartengono ad altri popoli minoritari sono quelle maggiormente in grado di capire quanto dura e dolorosa sia tale situazione.

Lo capì, per esempio, Émile Chanoux, dimostrandolo nella tesi di laurea nella quale si occupò dei diritti della minoranza dei Sudeti.

Parimenti, noi valdostani non dovremmo avere difficoltà a capire le motivazioni profonde del Risorgimento italiano.

Il torto dell’Italia nei nostri confronti è iniziato solo quando, dopo aver affermato la propria nazionalità, ha voluto uniformare tutte le componenti etniche al suo interno.

(Il concetto di nazionalità non è una questione di “formato”, di genere: l’Italia è vasta, la Valle d’Aosta no perché è troppo piccola).

Gli Arabi dovrebbero avere comprensione per Israele, e gli israeliani tenere conto dei diritti dei Palestinesi.

E quanto agli imperialismi, di marca capitalistica o marxista che siano…

Esistono anche persone che costituiscono una minoranza perché differiscono per colore della pelle, sentimenti religiosi, fede politica, abitudini di vita, comportamentali o altro dagli individui della comunità nella quale si trovano a vivere.

È questo il vasto campo che tanti vorrebbero sommergere, dei cosiddetti marginali, di fatto emarginati, che tutti conosciamo, almeno per sentito dire (neri, caffelatte, handicappati, spiantati, eretici, disoccupati, arrabbiati, stralunati, carcerati), cui si aggiungono, con un tocco di modernità, drogati, omosessuali, lesbiche, ammalati di AIDS, ecc., per non dire dell’altra metà della mela, le donne, da secoli discriminate.

Tra le tante minoranze, spesso le cronache si occupano di quella delle persone che hanno incertezze o dubbi o aperto rifiuto, sul piano fisiologico o psicologico, del genere che è stato loro attribuito al momento della nascita.

È ben vero che, nei loro riguardi, la tolleranza ha fatto un buon cammino in questi ultimi anni.

L’Italia, tra l’altro, in questa materia non è rimasta indietro: la legge 164 del 1982 sul cambiamento di sesso è molto avanzata e civilissima, come ha recentemente sottolineato una sentenza della Corte Costituzionale.

Dove si vuole arrivare con questo accenno, quale il riferimento con la Valle d’Aosta?

Si tratta del caso di una persona che vive in questa Regione, che non per puro divertimento, in questi momenti si sta chiedendo, senza capire se ancora ha trovato una risposta sicura, pur sentendosi fatalmente avviata in una certa direzione: chi sono? da dove vengo? dove sto andando?

Era il caso di parlarne qui, pur se si tratterebbe di una cosa strettamente privata.

Dopo averci pensato a lungo, chi scrive ha infine deciso che farebbe torto alla franchezza che ha sempre avuto, anche brutalmente a volte, nei riguardi del prossimo, se non ne accennasse, per una volta, la prima e l’ultima, pubblicamente.

Anche per dimostrare, a sé prima che agli altri, che il coraggio chi ce l’ha lo deve dimostrare in ogni occasione, e non solo quando vi trova il proprio tornaconto.

Si tratta di questo: chi scrive ha da tempo dubbi sulla propria identità di genere e, come qualcuno avrà intuito, visto o vedrà, ha assunto aspetti esteriori conformi alla propria condizione psicologica minoritaria.

Con molto rammarico, se qualcuno, dando talvolta ragione a quanto da tempo vado scrivendo su queste colonne, avrà il sentimento di essere stato a lungo indotto in inganno, ho la speranza che ciò possa servire.

Temo che certe ottime persone, a cui “l’abito non fa il monaco”, stimeranno che io abbia perso ogni credibilità (a qualche politico preso di mira in passato farà anche comodo farlo credere in giro).

Per parte mia, ho la coscienza di non aver perso improvvisamente i lumi, e la sicurezza che un nuovo aspetto esteriore (tra l’altro coltivato da anni in privato, di nascosto, con la paura frustrante del qu’en dira-t-on [ndr. “che cosa se ne dirà?]) non abbia ottuso le mie capacità critiche, né spuntato il pennino della mia stilografica.

Già ho avuto la solidarietà di alcuni amici, quella preziosa (e, lo confesso, anche insperata) dell’editore di questo giornale, al quale voglio dire qui tutta la mia gratitudine.

Saranno i lettori a decidere se il Monitore Valdostano dovrà avere una nuova… collaboratrice dalla “penna velenifera”.